Oltre la pittura, oltre il reale.

di Valerio Dehò

Vi è una pervasiva idea di diversità nel lavoro di Lorena Munforti, una ricerca costante e quasi “naturale” verso le anomalie, le dissonanze, gli scarti concettuali tra il vedere e l’immaginare. Non solo una ricerca delle possibilità di deviazione dalla norma dei generi classici della pittura come il paesaggio, la natura morta, il ritratto, ma la tensione verso la riconsiderazione del dipingere come pratica mentale. Questo è evidente in serie di lavori in cui gli steccati vengono eliminati da una gestualità volutamente liquida, che mescola non solo i generi e i soggetti ma riesce a mantenere coerenza e continuità. Lo stile della Munforti le consente di mantenere un impatto visivo dolce, apparentemente tradizionale e nello stesso tempo di insinuare il deviante proprio nella assoluta normalità della consuetudine pittorica. L’uso degli inchiostri amplifica la fluidità delle forme e il supporto cartaceo costituito dai vassoi per alimenti, dà una forte connotazione a questi lavori. Pur nella perfezione della tecnica diventa straniante il rapporto tra i materiali e i soggetti, come sono anomale le interferenze tra i generi in cui certamente affiorano memorie magrittiane soprattutto nei “ritratti” realizzati come delle vuote silhouette, ma anche nelle nature morte ambientate nel paesaggio, ricordi delle opere migliori di De Pisis.   A parte i giochi linguistici dei titoli, è il segno pittorico che rivela un’ attenzione a osservare la società attraverso la storia dell’arte, facendo emergere “le storie” dell’arte, le differenze delle teorie che modificano anche gli aspetti formali delle opere.

Molto bello e sintomo di questa ricerca costante sugli intercodici, è il lavoro attorno al tema dei vulcani che ha la visionarietà della grande creazione artistica. Partendo dalle stampe di Hokusai e attraverso una tecnica mista di pastelli e acquarelli, Lorena Munforti ha adoperato il vulcano come simbolo e catalizzatore di una serie di eventi naturali, geologici e di umana partecipazione. Il vulcano come luogo deputato di fatti straordinari e non, scenario di commistioni e di incontri fortuiti, spesso surreali. Sembra quasi che sia lo stesso cratere spaventevole a vomitare la congerie di esseri e cose che gli gravitano attorno. Del resto la montagna di fuoco è in diretto collegamento con il centro della terra e qualcosa da quelle parti deve pur terminare. L’eruzione potrebbe essere un fenomeno reattivo di un’ ingestione. Nel ventre della Madre terra si nascondono meraviglie che attendono viaggiatori incantati. Nel frattempo l’artista crea dei misteri, degli enigmi, dei rebus che tocca allo spettatore di decrittare o di lasciare al nonsense visivo.

Gli stessi recenti studi sul paesaggio e in particolare sugli Spielplatz che recano anche le tracce dei percorsi ludici infantili, non solo rivelano il talento descrittivo, ma creano un senso di attesa e di ansia. A dispetto dei colori sempre morbidi, toccati spesso da contrasti cromatici in cui l’altezza del rosso contrasta con la gravità del verde, questi ultimi lavori accentuano il senso del tempo, della sospensione temporale. Non solo l’assenza di presenze umane, ma forse ancora di più le tracce di qualcosa che è passato ed è scomparso nel nulla del tempo, lasciano una sottile inquietudine. Gli spazi verdi abbandonati ma non selvaggi, il rapporto tra il paesaggio come critica dello sguardo e l’osservatore ideale, sono temi di una riflessione sul senso contemporaneo di un modo diverso di vivere la natura. Già la stessa idea di “paesaggio” lo rende qualcosa di differente rispetto alla Natura, qualcosa di “altro”,cioè di antropizzato anche seppur attraverso lo sguardo. Perché, come ci ha rivelato, con dovizia di soluzioni e forse insuperabile acutezza dello sguardo, Luigi Ghirri, non esiste oggi un paesaggio pieno, ma solo derivato. Non esiste oggi una visione assoluta e libera di esso, ma solo frammentaria, filtrata da inquadrature che a volte ne denunciano la veduta paradossale, la restringono, quasi la soffocano. Oppure possono rivelarla come una rara epifania, come già ci mostrava con colori e pennelli Karl Friedrich Schinkel, quando inseriva l’apparizione di un paesaggio nello scorcio di una finestra o nell’apertura di una grotta. Oggi l’inquadratura è data dal computer, dall’ipad, e in questo c’è un chiaro collegamento con i vassoi di carta della Munforti che ne ricalcano il formato, e quindi l’esperienza del paesaggio deriva non solo dalla sua opposizione alla Natura, ma anche da fatto che non lo “vediamo”, ma sempre e ogni volta lo “rivediamo” attraverso i frame che ci ha costruito attorno la storia dell’arte. Oltre all’esperienza del reale che siamo riusciti a costruirci all’interesezione tra gusto e cultura.

Del resto non a caso Lorena Munforti ha un approccio alla pittura attraverso dei formati piccoli, legati al medium della carta. La sua pittura non è una pittura ambientale ma mentale. Nonostante l’approccio figurativo o figurale, riesce sempre a trovare il soffio del perturbante che mette in crisi la familiarità, all’abitudine, la scelta non consapevole, l’analisi a priori. La carta poi è un elemento di scorrevolezza, l‘uso degli inchiostri evoca inevitabilmente la scrittura e in fondo tutto il lavoro dell’artista può essere letto come un romanzo in cui le serie delle opere sono i capitoli. Ma la carta è anche la progenitrice dello schermo a cui ha trasferito forma e funzioni. La poetica di Lorena Munforti è fondata su di un lavoro visionario che non perde di vista la realtà che è ormai una fusione di naturale e artificiale, di vero e immaginato, di originalità e di tradizione.

L’arte incontra le Dolomiti

di Nadia Marconi – Corriere dell’Alto Adige, 5 luglio 2013

Opere d’arte selezionate da una giuria prestigiosa, storia cultura e tradizione e, come location, lo straordinario scenario delle Dolomiti. Sono questi gli ingredienti di «Smach», la mostra evento che da domani al 13 settembre porterà a San Martino in Badia il vento fresco dell’arte contemporanea. Il titolo dell’iniziativa, infatti, altro non è se non l’acronimo di San Martin Art, Culture and History e forse sarebbe più indicato parlare al plurale, perché gli eventi in programma in realtà sono davvero molti e tutti di primo piano come, giusto per fare un esempio, la «Trienala ladina», che aprirà i battenti con l’inaugurazione ufficiale prevista per venerdì 19 luglio.
Ma torniamo al concorso internazionale all’origine di Smach, cominciando dalla giuria che ha selezionato le 12 opere vincitrici, già da sola una garanzia di qualità, dato che tra i giurati ritroviamo anche nomi prestigiosi come quello di Danilo Eccher e dell’artista Aron Demetz.

I vincitori del concorso (Max & Carlo Castlunger, Andrea Salvetti, Francesco Begna, Hubert Kostner, Olga Schäfer, Patricija Gilyte, Philipp Schraut, Lorena Munforti, Lissy Pernthaler, Hans Martin Lützenburg, Paul Feichter e Kei Nakamura) presentano una serie di opere dal forte carattere installativo, che si rapportano con la natura, la storia e le tradizioni di San Martino, distribuite in 12 diverse location tutte da togliere il fiato…
… Come si diceva, l’evento tocca molti luoghi della zona di San Martino in Badia così, oltre alla straordinaria scenografia offerta dalle cime dolomitiche, sono stati coinvolti anche edifici strategici da un punto di vista storico-culturale, come quello dei bagni termali del «Bagn Valdander», dove Lorena Munforti ha collocato le proprie Vijiuns dl passè. Visioni del passato. Die guten alten Zeiten. Visions of the past.

Qui, con estrema sensibilità, l’artista raccoglie oggetti e memorie, come reperti di carattere archeologico o scientifico, che invitano a fermarsi e rallentare il passo, per ritrovare un nuovo rapporto con la natura e l’ambiente, ma anche con la cultura e la storia, compresa quella personale.